Imprese femminili: in Italia sono 1,3 milioni. Il 12,4% è guidato da under 35
A fine 2018, il Italia il numero di imprese femminili ha raggiunto quota 1,3 milioni. In crescita del 2,7% rispetto a cinque anni fa, il dato è pari al 21,9% del numero totale di imprese presenti nel nostro Paese. Nelle attività commerciali e turistiche la quota si attesta al 24,9%: quasi 500mila unità, cifra costante rispetto al 2014.
Le imprese femminili danno lavoro a oltre 3 milioni di addetti: il 14,2% del totale degli addetti del settore privato. Nel commercio e nel turismo gli occupati in imprese guidate da donne sono oltre 1 milione, un valore che corrisponde al 18,4% del totale addetti del settore. La quota delle imprese femminili guidate da imprenditrici under 35 si attesta al 12,4% del totale, contro l’8,6% di quelle maschili. Nell’ambito di commercio e turismo la quota sale al 13,6%.
Questi sono alcuni dei dati che emergono dall’analisi realizzata da Confcommercio in collaborazione con Unioncamere dal titolo “Donne imprenditrici in una economia e in una società che cambia”. L’indagine, sviluppata su un campione di 369 imprenditrici e imprenditori del commercio, del turismo e dei servizi, rivela come la spinta a intraprendere per le donne sia dettata più da opportunità che da necessità, ovvero dalla voglia di valorizzare le proprie competenze e le proprie idee innovative puntando al successo personale ed economico (47% per le donne vs 38% uomini) piuttosto che dalla necessità di trovare lavoro o insoddisfazione per un precedente lavoro (indifferente dal punto di vista del genere). E tutto ciò evidenziando segnatamente anche il ruolo del passaggio generazionale (27% per le donne vs 23% uomini).
Nell’ambito del commercio, del turismo e dei servizi, le donne dichiarano di aver incontrato meno difficoltà nel fare impresa rispetto agli uomini (58% vs 70%). I problemi sono analoghi a quelli citati dalla componente maschile (fisco e burocrazia in primis), ma aggiungendo in modo particolare anche i fattori legati al mercato (complessità, concorrenza sleale, ecc.) e la conciliazione lavoro-famiglia.
Ma le imprenditrici del terziario dimostrano una maggiore capacità di attenzione agli stakeholder, sia interni che esterni all’impresa e si differenziano da quelle maschili anche per l’attenzione ai clienti: il 52% delle donne a capo di un’impresa ha a cuore il benessere dei dipendenti. Inoltre, il 62% delle imprese femminili adottano almeno due dei tre comportamenti socialmente responsabili (attenzione al benessere dei dipendenti, relazionalità con gli stakeholder del territorio, relazionalità con clienti). Questo comportamento orientato alla responsabilità sociale vede risvolti in termini di competitività: all’interno delle imprese femminili di servizi, quelle che investono in almeno una delle tre tipologie di CSR dichiarano più diffusamente un miglioramento della situazione economica dell’azienda (31% per le donne vs 24% uomini).
Le donne intervistate hanno evidenziato effetti di incremento sul proprio reddito nell’essere diventate imprenditrici, che per le giovani generazioni femminili sembra essere maggiore rispetto agli uomini (39% contro 29% nella classe di età al di sotto dei 35 anni). Il fenomeno si assottiglia con l’aumento dell’età e diventa a vantaggio dei maschi nella classe di età relativa ai 50enni e oltre.